Blog EllePì – Saperi e pensiero critico

Per un approfondimento fondato sulla cooperazione

di Claudio Mennini

Le organizzazioni costruiscono un sapere. Nella loro complessità mettono in circolazione una quantità incredibile di informazioni e saperi che quotidianamente vanno a costruire, con la consapevolezza più o meno attiva degli individui, il bagaglio di conoscenze dell’organizzazione stessa. Così come i popoli e le società danno origine, armonizzano e rappresentano la propria cultura e i propri costumi, allo stesso modo le organizzazioni di persone generano conoscenza. Ora, più l’organizzazione incrementa la sua estensione, nello spazio (diventa più grande) e nel tempo (diventa più vecchia), più la serie e i flussi di informazioni e rappresentazioni si moltiplicano e nella molteplicità si disperdono tra la numerosità degli individui.

Questa dispersione genera difficoltà di formalizzazione e di sintesi, rende difficoltoso il “narrare la complessità” dei saperi del gruppo/comunità/organizzazione. Senza uno scenario sintetico di fondo, le informazioni frammentarie e parziali diventano una serie di forme di sapere. Il sapere diventa un puzzle, una rappresentazione cubista di quello che siamo e di quello che vogliamo dire. Ci sono una serie di informazioni infinite che sono disperse tra milioni e milioni di individui e rispetto alle quali ognuno si trova in vantaggio rispetto agli altri.

La tentazione del singolo dinanzi a questo scenario è di far assurgere a elemento di potere personale il proprio pezzo di informazione. Costruire barricate intorno al proprio sapere è un virus letale per qualsiasi insieme di persone. Dove non siamo più in grado di mettere in circolo saperi individuali non siamo più in grado di generare conoscenza e quindi non siamo più in grado di comunicare nulla all’esterno come collettività.

Invece, è importante la consapevolezza che queste informazioni che circolano tra i soggetti sono centrifughe, non convogliabili, non controllabili da un solo individuo. Sono il sapere del collettivo. Sono conoscenze istantanee, che sfuggono alla logica del controllo servile ma si manifestano nell’intuizione. La capacità di intuire è fondamentale per chi si trova a gestire organizzazioni complesse.

Ma l’apertura di un singolo individuo a questa visione accogliente e rispettosa dei saperi e delle informazioni altrui (ancora prima che siano condivise dal soggetto stesso) è il frutto di una consapevolezza primaria rispetto alla fallibilità delle nostre conoscenze. La falsificabilità delle teorie (Popper, 1935) è la teoria epistemologica che ci aiuta a posizionare le nostre credenze, affermazioni, giudizi, saperi, visioni, idee, rispetto a loro stesse e a quelle degli altri che collaborano con noi. Il principio di fallibilità sostiene che basta una sola falsificazione a confutare una teoria ma non è sufficiente una conferma a renderla vera. Non possiamo provare in modo definitivo che le nostre teorie siano vere, dobbiamo sempre essere aperti alla possibilità che vengano rese fallibili o relative da altre teorie di altri parlanti. Questa visione, elaborata da Karl Popper a metà degli anni ’30, ha aperto le porte al liberalismo negli studi scientifici e ora aiuta noi a smentire la gestione unilaterale delle informazioni e dei saperi nelle organizzazioni e nei gruppi di persone in generale.

Essere persone razionali non significa, dunque, cercare ostinatamente conferme alle proprie teorie, sia dalla realtà circostante che dai propri collaboratori, ma significa sottomettere a critica tutte le nostre credenze e le nostre teorie apparentemente più solide e sacrosante.

Dunque, per valutare le affermazioni altrui e le conoscenze con cui ci troviamo ad avere a che fare, diventa irrinunciabile la conoscenza dell’ambiente, del contesto e delle persone che lo compongono per avvicinare quel “sapere diffuso” che aleggia nella prossimità.

Una delle tentazioni da evitare è quella di pensare che l’atteggiamento fallibilista sia ignoranza. Non è così. Uno è l’atteggiamento consapevole della relatività delle proprie competenze e delle proprie informazioni, l’altra è l’atteggiamento di scarso interesse verso le informazioni che provengono dall’ambiente circostante e quindi scarsa apertura all’innovazione.

In questa prospettiva, l’atteggiamento dominante e di imposizione delle proprie teorie e dei propri metodi risulta sterile e senza forza. L’unica possibilità di generare sapere è allora la cooperazione. Tra chi è in possesso di informazioni e chi le riceve. Con la rispettiva consapevolezza di essere fallibili.

La libertà individuale poggia inevitabilmente sul riconoscimento della nostra fallibilità e relatività all’interno di un complesso di persone. Se esistessero degli onniscienti non vi sarebbe libertà individuale. Non vi sarebbe circolarità delle informazioni. Non vi sarebbe necessità di costituirsi in organizzazioni per raggiungere degli obiettivi. Il senso delle organizzazioni risiede nella libertà individuale.

 

Riferimenti

K. Popper, Logica della scoperta scientifica, Piccola Biblioteca Einaudi Ns, Milano 2010 (prima edizione: 1935)

K. Popper, La società aperta e i suoi nemici, Armando, Roma 2002 (prima edizione: 1945)

 

 

Profilo dell’autore

Claudio Mennini si occupa di Sviluppo organizzativo presso Aeroporti di Roma S.p.A. ed è dottorando di ricerca in Antropologia filosofica presso l’Università degli Studi di Roma Tor Vergata. Ha studiato Gestione delle Risorse umane e Organizzazione presso la LUISS Business School. Collabora con la rivista internazionale di filosofia Dialegesthai ed è membro Aderente della Fondazione Lavoroperlapersona.


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