Blog EllePì – Clima: le cose stanno cambiando ma non dobbiamo distrarci
di Davide Nespolo
Con ogni probabilità il 2016 sarà l’anno più caldo di sempre[1]. I due record precedenti sono stati registrati, rispettivamente, nel 2015 e nel 2014. Evidentemente, però, dire che la temperatura media sarà quest’anno di 1.38° gradi superiore alle medie dei livelli pre-industriali – molto vicina a quella di “non ritorno” di 1.5° o 2° – non è un buono strumento di comunicazione[2]. Non rende l’idea degli effetti attuali e futuri, in termini di eventi meteorologici estremi, sommersione delle coste, perdita di biodiversità, impatto sul ciclo dell’acqua e sulle coltivazioni. E non rende l’idea dei connessi effetti sociali, guerre incluse. Il tre volte premio Pulitzer Thomas Friedman, ad esempio, sottolinea il legame tra la rivolta in Siria e gli inediti 10 anni precedenti di siccità, che hanno favorito una migrazione di massa dalle campagne alle periferie cittadine[3].
Se a tutto ciò aggiungiamo il colpevole silenzio dei media, che contribuisce a generare un livello di sensibilizzazione nell’opinione pubblica ben lontano da quello che sarebbe necessario[4], ne esce un quadro abbastanza sconfortante.
In questo contesto l’accordo sul clima firmato a Parigi nel dicembre scorso, che qualcuno ha definito il più grande successo diplomatico del secolo[5], segna almeno simbolicamente un punto di svolta. Come abbiamo osservato sulle pagine di questo sito ( http://bit.ly/1QKWeqo ), è il momento in cui tutti i paesi del mondo sono finalmente apparsi uniti su un tema sul quale, nonostante le evidenze scientifiche, per quasi trent’anni non si era potuto raggiungere un consenso davvero significativo.
Cosa è successo da dicembre ad oggi? Si è trattato solo di alta diplomazia o sta davvero succedendo qualcosa di concreto nella riduzione delle emissioni?
Una prima buona notizia è che il processo di ratifica sta procedendo più speditamente del previsto (N.B.: Il 4 ottobre l’Unione Europea ha ratificato l’Accordo di Parigi sul clima). E l’annuncio, lo scorso 3 settembre, della ratifica congiunta da parte di Stati Uniti e Cina, attualmente i due maggiori responsabili di emissioni climalteranti (insieme contano per il 39% delle emissioni globali), ha un valore fondamentale.
L’accordo di Parigi, infatti, non è immediatamente applicabile; perché sia valido, occorre che almeno 55 Paesi lo abbiano ratificato, e che questi Paesi contino almeno per il 55% delle emissioni globali. Lo status ufficiale delle ratifiche[6], vede ad oggi USA e Cina tra i 27 Paesi che hanno già ratificato il trattato insieme ad una serie di Paesi più piccoli. Il successivo più grande “emettitore” a dover ratificare è l’EU, per la quale si prevedono però tempi più lunghi, essendo prima necessaria la ratifica nei singoli Paesi membri. Ciò nonostante, il trattato potrebbe raggiungere un numero sufficiente di ratifiche per entrare in vigore già entro la fine di quest’anno[7]. Prima, quindi, del previsto.
A quel punto, il trattato sarà legalmente vincolante. Ma il trattato per funzionare ha bisogno dei target di riduzione delle proprie emissioni che i singoli Paesi dichiarano. Questi target non sono, al momento, sufficienti per contenere le emissioni entro il livello di sicurezza dei +2°C, e tanto meno quindi entro il livello “auspicato” di +1.5°C. Ma il problema è soprattutto che, pur se il trattato in sé è vincolante, i target che i singoli Paesi si danno invece non lo sono.
I governi nazionali avranno quindi ampia libertà nella gestione dei propri obiettivi di riduzione emissioni. Il che è molto rischioso, soprattutto quando si considera che le politiche necessarie potrebbero essere, almeno nel breve periodo, dispendiose ed avversate da una parte degli elettori.
Il tutto, per finire, si inserisce in un quadro in cui una parte consistente della comunità scientifica considera insufficienti anche gli stessi target globali definiti dal trattato.
Restiamo nello sconforto, quindi? Non necessariamente. Intanto, non è detto ci sia da fare affidamento solo sulla diplomazia e sulle normative internazionali.
La mossa di Stati Uniti e Cina ha, al di là dei trattati e delle normative, un grande valore simbolico. Mostra infatti al mondo e agli investitori che le due principali economie mondiali, che fino a pochi anni fa erano a dir poco riluttanti a discutere il tema, stanno guidando oggi la transizione verso un’economia “green”[8]. E mostra anche che, se parole come “innovazione” o “mercato” storicamente non sono state molto amate dagli ambientalisti, l’innovazione e il mercato “green” stanno forse già andando più velocemente di quanto gli ambientalisti potessero prevedere. Non si tratta di coltivare una fiducia cieca solo nella tecnologia in sé, ma di sostenere anche i nuovi modelli di comportamento che la tecnologia può generare[9].
Il costo per megawatt dell’energia solare continua la sua discesa verticale (dagli anni 70 ad oggi è diminuito di oltre 200 volte). Grazie al digitale e all’”Internet delle Cose” (IoT), siamo già oggi in grado di rendere più “smart” case, fabbriche e campi coltivati, attraverso investimenti che hanno un senso anche dal punto di vista economico[10]. E soprattutto, grazie alla tecnologia, stiamo iniziando a trasformare in servizi a fruizione condivisa sempre più di quelli che fino a ieri sono stati prodotti di consumo di massa[11].
Negli scorsi due anni, per la prima volta in un periodo di crescita economica globale, le emissioni di CO2 non sono cresciute[12]. Nel 2015, anzi, si sono ridotte dello 0.6%[13] a fronte di una crescita dell’economia mondiale del 6,5%. Si tratta, chiaramente, di una riduzione ben lontana da quella necessaria, ma indica che indipendentemente dagli accordi internazionali qualcosa si sta muovendo.
Un messaggio positivo che non deve però diventare una “distrazione” per cittadini ed attivisti. Come già osservato l’accordo di Parigi, prima ancora che un successo della diplomazia, è stato un successo della società civile, ed è necessario che questa resti più vigile che mai.
[1]http://www.repubblica.it/ambiente/2016/08/30/news/nasa_la_terra_si_sta_riscaldando_a_un_ritmo_mai_verificatosi_negli_ultimi_1000_anni-146894869/
[2] https://marketinggreen.wordpress.com/
[3] http://www.nytimes.com/2015/10/07/opinion/thomas-friedman-stuff-happens-to-the-environment-like-climate-change.html; http://www.nytimes.com/2015/03/03/science/earth/study-links-syria-conflict-to-drought-caused-by-climate-change.html
[4] Il tema è riconosciuto e ha motivazioni molteplici. V. ad esempio: https://www.theguardian.com/commentisfree/2016/aug/03/climate-crisis-media-relegates-greatest-challenge-hurtle-us-collapse-planet; https://www.theguardian.com/environment/southern-crossroads/2014/jun/10/global-warming-climate-change-asymmetric-insight
[5] https://www.theguardian.com/environment/2015/dec/13/paris-climate-deal-cop-diplomacy-developing-united-nations
[6] L’elenco ufficiale delle ratifiche è disponibile a questo link (ultimo accesso 11 settembre 2016): (https://treaties.un.org/Pages/ViewDetails.aspx?src=TREATY&mtdsg_no=XXVII-7-d&chapter=27&clang=en)
[7] https://www.theguardian.com/environment/2016/sep/03/breakthrough-us-china-agree-ratify-paris-climate-change-deal
[8] Forse ancora più importante è da questo punto di vista l’annuncio, arrivato in contemporanea, del grande passo in avanti fatto da USA e Cina anche nel garantire trasparenza sugli enormi sussidi erogati ai combustibili fossili: http://www.oecd.org/greengrowth/oecd-welcomes-ground-breaking-peer-reviews-by-china-and-us-of-their-fossil-fuel-subsidies.htm
[9] Il richiamo al superare la fiducia cieca nella tecnologia ma mantenere quella nei nuovi modelli di comportamento che questa può generare è di Papa Francesco nella “Laudato Sì”. Da buddista praticante non posso che apprezzare la ricchezza comune della mistica delle diverse religioni, e il richiamo, dello stesso Papa Francesco, a lavorare insieme verso il bene comune
[10] Un recente report di Accenture per la Global E-sustainability initiative, “System Transformation”, analizza l’impatto dell’ICT sul raggiungimento dei “sustainable development goals”, inclusi gli obiettivi ambientali. Il report è disponibile su: http://www.systemtransformation-sdg.gesi.org/
[11] Si tratta di trend già visibili nell’ambito di quella che viene definita “sharing economy”. Secondo alcuni dei futurologi più accreditati si tratta di trend che si espanderanno fino a coprire buona parte dell’economia. v. J. Rifkin, “La società a costo marginale zero”, Mondadori, 2014; K. Kelly, “The Inevitable: understanding the 12 technological forces that will shape our future”. Viking Press, 2016
[12] http://e360.yale.edu/content/feature.msp?id=2983
[13] http://www.nature.com/news/global-greenhouse-gas-emissions-set-to-fall-in-2015-1.18965