Incontri EllePì – Industria 4.0 e occupazione: più o meno lavoro?

Venerdì 23 marzo, presso la sede dell’Agenzia per il lavoro GiGroup di Roma, si è svolto il secondo IncontriEllePì organizzato dalla Fondazione Lavoroperlapersona, questa volta dedicato al tema Industria 4.0 e occupazione: più o meno lavoro? Il resoconto del primo incontro, sul tema Far fiorire l’umano nell’economia e nel lavoro: le sfide dell’innovazione tecnologica è consultabile nel nostro blog all’indirizzo: https://bit.ly/2oJNNCF.

«Il fil rouge degli incontri – come affermato dal Presidente della Fondazione Lavoroperlapersona Gabriele Gabrielli nel corso della sua introduzione – è l’innovazione tecnologica e in questo secondo Incontri EllePì abbiamo deciso di trattare un argomento tanto delicato quanto attuale: la relazione che intercorre fra la trasformazione digitale e l’occupazione. Una questione che riguarda il nesso fra la straordinaria innovazione tecnologica di cui siamo testimoni e il processo di cambiamento del lavoro».

È evidente, infatti, che questa rivoluzione tecnologica – chiamata “Quarta rivoluzione industriale” da Klaus Schwab, fondatore e presidente esecutivo del World Economic Forum – rivoluzionerà, in parte lo sta già facendo, il modo in cui viviamo, lavoriamo e comunichiamo con gli altri. I cambiamenti che stanno avvenendo produrranno grandi opportunità, ma ci metteranno di fronte anche a numerosi rischi poiché le organizzazioni si dovranno adattare, le nuove tecnologie dovranno essere regolamentate e le disuguaglianze sociali rischiano di ampliarsi. Per evitare tutto ciò, secondo Schwab, si dovranno sviluppare nuove forme di collaborazione che siano interdisciplinari e capaci di andare oltre ai confini meramente geografici.

A partire dalla introduzione del presidente Gabriele Gabrielli, la discussione si è dipanata attraverso gli interventi di due docenti che ci hanno aiutato a comprendere ed analizzare gli effetti di questa trasformazione sul lavoro e sulla occupazione: il primo, Paolo Spagnoletti, è professore associato di Organizzazione Aziendale presso il Dipartimento di Impresa e management dell’Università LUISS Guido Carli; il secondo, Paolo Naticchioni, è professore associato di Economia internazionale presso il dipartimento di Scienze Politiche di Roma Tre e membro dell’IZAIstitute of Labor Economics.

In apertura del suo intervento, il prof. Paolo Spagnoletti pone l’attenzione sui sistemi informativi aziendali e il rapporto fra tecnologia e organizzazione: «il rapporto fra tecnologia e organizzazioni, infatti, sta cambiando: fino a qualche anno fa vi era un divario fra tecnologia e utente; oggi, invece, le persone tendono ad essere più coinvolte nel cosiddetto design delle tecnologie. Ciò avviene in maniera consapevole: si possono acquisire nuove skill che riguardano il coding, la robotica, l’elettronica, la stampa 3D attraverso percorsi online e percorsi universitari». L’utente, oggi, ha la possibilità di diventare anche sviluppatore e ce lo insegnano proprio quei giganti del web, quei giganti che tutti noi utilizziamo e che si trovano ai primi posti nelle classifiche internazionali in termine di produttività e performance.

Infatti, tra le prime 10 aziende quotate in borsa, 5 di queste appartengono alle Dot-com cioè tutte quelle società che sviluppano gran parte del proprio business attraverso internet e sono: Amazon, Apple, Facebook, Google e Microsoft. Il modello organizzativo di queste aziende è improntato sul digitale e la caratteristica intrinseca del digitale è di essere modulare e a strati, in modo tale da rendere un prodotto parte di prodotti più ampi. Basti pensare, ad esempio, a servizi come Google Maps, accessibile dal relativo sito web o dall’app, ma allo stesso tempo è utilizzato da app differenti come quelle dedicate alla corsa o quelle che hanno la funzione di navigatore.

Un prodotto digitale possiede caratteristiche che, se sfruttate adeguatamente, permettono di connettere il pianeta, aprendo la possibilità di raggungere immediatamente nuovi mercati. Le piattaforme ci insegnano che, potenzialmente, vi è spazio per tutti e ci spingono a fare un’analisi tra il loro modo di lavorare e il nostro concetto di organizzazione del lavoro. Attraverso l’efficace suggestione del prof. Spagnoletti, il modo “classico” di intendere il lavoro assomiglia molto da vicino al “lavoro” del mondo agricolo: seminare, coltivare, monitorare e, infine, raccogliere. Le aziende dell’epoca digitale, invece, hanno una visione assimilabile alla attività della caccia: lavorano in gruppo, non si fermano mai, si domandano sempre dove sia la preda e, infine, la catturano. Quindi, per poter stare al passo con le nuove tecnologie e imparare da esse, bisogna avere un approccio design thinking cioè rendersi protagonisti nel design di nuove soluzioni digitali, tecniche e organizzative.

La tecnologia, quindi, può aiutare a costruire nuove opportunità di lavoro, rimanendo già nel contesto nazionale: in Italia vi è il Piano nazionale Industria 4.0 che sta dando incentivi alle imprese per modernizzare gli impianti produttivi e per automatizzare le industrie in modo da far aumentare la produttività e l’efficienza. Questa realtà è stata ideata proprio per evitare che le tecnologie vengano prodotte in paesi esteri dove l’intervento dello Stato inquina la stessa crescita produttiva. Le nuove tecnologie – conclude il prof. Spagnoletti – produrranno comunque nuove opportunità lavorative: ci sarà sempre più bisogno di nuovi giuristi capaci di regolamentare l’operato delle piattaforme tecnologiche, di analisti capaci di pensieri strategici differenti e manager capaci di fare scelte in base all’ambiente tecnologico circostante.

La parola poi è passata al prof. Paolo Naticchioni, il quale ha analizzato la presente rivoluzione tecnologica a partire da due “forze”, in realtà, sempre presenti quando si parla di rivoluzione industriale. La prima è quella di sostituzione, al quale può essere rappresentata da un robot che svolge un lavoro logorante e ripetitivo al posto dell’essere umano. La seconda, invece, è la compensazione che tende a creare nuovi posti di lavoro in base alle nuove tecnologie introdotte: un rapporto che fino ad oggi ha sempre permesso di realizzare un equilibrio, seppur precario, tra più e meno lavoro.

Secondo la teoria economica, spiega il prof. Naticchioni, «ogni rivoluzione tecnologica permette di produrre nuovi beni che piacciono ai consumatori: di conseguenza, aumenta la produzione e, con essa, occupazione e benessere. Ma non possiamo neanche dimenticare che esistono due tipi di innovazioni: di processo e di prodotto. Nel primo caso, si immette un nuovo prodotto sul mercato perciò l’impatto sull’occupazione è sempre positivo. Nel secondo caso, si cambia il processo produttivo per renderlo più efficiente e ciò può determinare, in alcuni casi, perdite occupazionali». Fino ad oggi, non sono ancora chiari gli effetti di questa innovazione sulla “quantità” di lavoro, ma lo scenario non è disastroso come potrebbe apparire: fra 10-20 anni alcuni lavori non esisteranno più, ma, al tempo stesso, ne nasceranno di sicuramente di nuovi, ora difficilmente prevedibili.

Sulla composizione del lavoro, invece, abbiamo degli effetti più facilmente delineabili: la tecnologia cambia in modo esplicito e inequivocabile la composizione della forza-lavoro perché si tende, sempre più, alla routinizzazione. Questa evidenza è data dalla rapida scomparsa di tutti quei lavori che prevedono operazioni ripetitive facilmente sostituibili da un robot programmato per svolgere compiti sempre uguali e identici, che si ripetono costantemente in un determinato arco temporale. Le mansioni più a rischio, quindi, sono associate ad un salario “medio”, mentre tutte le mansioni che prevedono abilità cognitive orientate al problem solving – associate a un salario alto – saranno complementari alla tecnologia e, quindi, al riparo dalla disoccupazione tecnologica. Un’altra categoria che non risentirà della innovazione di processo sarà quella dei lavori manuali non routinari, come nel caso della ristorazione, della cura dei bambini e degli anziani, nei servizi di sicurezza etc.

Un altro tratto saliente delle nuove imprese tecnologiche è il cosiddetto winners take all markets”, cioè la loro tendenza ad accaparrarsi l’intera porzione di mercato cui appartengono. Se pensiamo ai social media, non esiste un’altra piattaforma come Facebook perché nessuno la userebbe; è evidente che per ogni servizio c’è una sola app e le alternative esistenti sono utilizzate raramente. Una interessante particolarità che accomuna queste aziende è che possiedono poca forza-lavoro: Instagram, ad esempio, nasce nel 2010 e si è affermata avendo solo 13 dipendenti. Parallelamente a questo, abbiamo l’economia dei lavoretti, la gig economy, di cui fanno parte imprese come Foodora e Deliveroo dove vi è una forza-lavoro consistente, ma i contratti lavorativi sono poco vantaggiosi per i dipendenti. Esistono, infine, altre piattaforme come Amazon Mechanical Turk che utilizzano mano d’opera qualificata. Questa piattaforma è utilizzata, prevalentemente, da americani e indiani: i primi chiedono servizi informatici ai secondi per compiti impossibili da svolgere con il solo uso dell’Intelligenza Artificiale.

«Gli interrogativi che ci poniamo di fronte alla nuova rivoluzione tecnologica sono numerosi e alcuni, almeno per ora, – ha concluso il presidente Gabriele Gabrielli – non troveranno risposta. I robot, probabilmente, andranno a sostituire numerosi lavori routinari, ma non potranno mai sostituire l’uomo in quanto essere umano capace di pensare e trovare soluzioni a problemi imprevisti. I robot saranno ciò che metteremo nella loro testa e, per questo, è importante confidare in leader e manager capaci di far fiorire l’umano nell’economia e nel lavoro”».

La Fondazione dà appuntamento al prossimo Incontri EllePì di Roma, il 18 Maggio, presso la sede della Fondazione Telethon di Via Varese, dal titolo Lavoro e Inclusione: creare lavoro per tutti. Nel mese di Aprile, invece, la Fondazione sarà a Bologna il venerdì 20 per un Incontri EllePì dal titolo La sfida culturale della Sostenibilità. Ripensare l’impresa per un futuro più giusto e a Lecce giovedì 26 per parlare di Lavoro e cultura come strumento di democrazia: pratiche di inclusione.   

Autore: Gisele Rebecca Davini, cresciuta in Toscana, laureata in Comunicazione, sta per conseguire la laurea magistrale in Informatica Umanistica. Ha una passione per le innovazioni tecnologiche e il loro possibile utilizzo. Ama i musei e le mostre d’arte.

 

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