Blog EllePì – Vengo anch’io. No tu no.

La musica accogliente di Enzo Jannacci

di Michela Fioravanti

Enzo Jannacci non era un barbone. Non lo era davvero. Ma ‘el purtava i scarp de tennis, el g’aveva du occ de bun’, pure lui.

Nato e cresciuto a Milano, è stato uno dei pionieri del rock and roll in Italia. Musicista, attore, poeta, umorista. Oltre 50 anni di carriera aldilà degli schemi. Oltre 50 anni di sguardi, di note, di parole sulla vita, sul mondo, sull’umanità racchiusi nel battito di un solo cuore. E il Dottor Jannacci, cardiologo, il cuore lo conosceva bene. Non solo per averlo studiato sui libri e non solo per aver lavorato in Sudafrica nell’equipe di Christiaan Barnard, ma perché di sentimento e di amore per la vita ha palpitato ogni sua canzone. Si è esibito in ogni forma davanti agli occhi degli italiani. Istrionico cabarettista sull’anticonvenzionale palcoscenico del Derby, imprevedibile mattatore davanti alle telecamere di mamma Rai, acuto interprete di un compianto cinema d’autore firmato Monicelli, Scola, Wertmüller. Una forza della natura, esplosivo, ribelle, emozionale, sornione dietro i suoi immancabili occhiali da vista. Quando sorrideva per un niente come il suo soldato Nencini. Quando rideva, col suo musicista, senza temere, senza aver paura della sua semplicità. Quando se ne andava a luci spente, dietro l’odio della gente. Quando a tutti i costi provava ad andare a vedere ‘l’effetto che fa’.

E’ morto due giorni prima di Pasqua Jannacci, la festa della Resurrezione, dissacrante fino alla fine, come ognuna delle sue opere. Ha cantato una Milano in dialetto, con frasi sconnesse, punti di domanda, poche risposte. Ha cantato i colori della teatralità. Ha cantato prendendo a graffiate una società con gli occhi chiusi nel belletto, ma senza esagerare, senza farle troppo male, con l’innocenza di un folle, e lo spirito di un guitto. Ha cantato degli ultimi, degli emarginati, dei poveri, degli analfabeti. Perché la vita ‘è sempre importante, non soltanto quando è attraente ed emozionante, ma anche se si presenta inerme e indifesa’. Un saltimbanco che ringrazia a lui non faceva pietà. Lo abbracciava tra le rime delle sue canzoni, e lo rendeva immortale tra gli applausi del suo pubblico. Jannacci era con quelli che fanno un mestiere come un altro, con quelli che non hanno una missione da compiere, con quelli che hanno paura delle cambiali, con quelli che sono diversi. Come l’emarginato di Vengo anch’io? che continua a chiedere il permesso di partecipare, solo per essere accettato, per fare quello che fanno tutti, per sentirsi parte di qualcosa. Un autore diverso dagli altri, che appassionato di sarcasmo, denunciava l’egoismo misantropo della modernità, il disinteresse per l’altro, lo spazio di un’individualità lasciata in balia della moda e delle convenzioni. Jannacci, per dirla con parole a noi care, era forse l’idolo di quelli che aspettano soltanto di essere accolti. Un artista che ha provato a reincantare il mondo, come direbbe Stiegler, tracciando le linee di un volto umano più povero, più sofferente, più sfortunato, rappresentato al mondo borghese attraverso la colla del suo magico sorriso.

Accogliere l’altro, per Enzo Jannacci, voleva dire ascoltarlo. E in questo modo avvicinarlo, capirlo, sostenerlo e cantarlo con il suo ritmo. E anche per noi l’ascolto è forse la prima e più importante forma di accoglienza. Perché in fondo, come nella migliore delle orchestre, per stare al passo con la musica, e suonare la stessa vita… ‘bisogna avere orecchio’.

Profilo dell’autore

Michela Fioravanti si è laureata in Lettere con il massimo dei voti presso l’Università La Sapienza di Roma e nel 2009 ha conseguito un Executive MBA presso la Luiss Business School, ottenendo il riconoscimento di “Best Student”. Ha lavorato nella comunicazione della Sony Pictures, e attualmente si occupa di consulenza strategica presso la Deloitte Consulting. E’ autrice del libro EMBAS edito dalla Luiss University Press e di numerose opere teatrali, della cui rappresentazione ha curato anche la regia. Per la Fondazione Lavoroperlapersona, è responsabile della comunicazione.

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