Blog EllePì – L’intelligenza musicale come risorsa nei processi formativi

di Giorgio Fabbri

“Vorrei insegnare alle persone la musica, la fisica, la filosofia; ma soprattutto la musica, perché nel modello della musica sono contenute le chiavi dell’apprendimento”. Così si esprimeva Platone più di duemila anni orsono. Le più recenti ricerche delle neuroscienze in merito ai rapporti tra musica e cervello, evidenziano come l’ascolto e la pratica musicale siano in grado di incidere significativamente sulle modalità adottate dal cervello mentre apprende e lavora. L’essere umano è fatto per rispondere alla musica. Siamo “fatti di musica”, afferma Daniel Levitin, nel suo saggio dal titolo omonimo1.  “La musica è pane per le neuroscienze” – sottolinea Robert Zatorre – “Essa tocca quasi ogni abilità cognitiva a cui i neuroscienziati sono interessati: non solo gli ovvi sistemi uditivi e motori coinvolti nella percezione e nella produzione musicale, ma anche le interazioni multisensoriali, la memoria, l’apprendimento, l’attenzione, la progettualità, la creatività e le emozioni”2. Levitin e Zatorre sono neuroscienziati attivi presso il BRAMS,  International Laboratory for Brain, Music and Sound Research, dellaMcGill University di Montreal, il più importante tra i numerosi istituti di ricerca sul rapporto musica e cervello, ormai attivi in molte parti del mondo. Nei loro lavori hanno ampiamente dimostrato che la musica stimola un numero di parti del cervello superiore a qualunque altra attività umana. Essa è la porta principale che ci consente di accedere ad una più profonda comprensione dei processi connessi con la cognizione umana. Proprio come affermava Platone.

La capacità della musica di sviluppare l’insieme delle abilità cognitive del nostro cervello, che oggi le neuroscienze ci fanno toccare con mano, era già nota nel passato. Fino all’avvento di Cartesio, la musica era considerata la più elevata delle discipline. Insieme a aritmetica, geometria e astronomia, rientrava nel quadrivium, il corso di studi posto all’apice della conoscenza scientifica e filosofica, il cui livello base era costituito dal trivium (grammatica, retorica e logica). La musica ne rappresentava il punto culminante: essa racchiude in sé tutte le altre conoscenze, tanto la scienza dei numeri, quanto la scienza del moto degli astri, quanto le strutture logico-grammaticali, insieme alle regole dei metri verbali desunti dalla retorica. Isidoro di Siviglia, a conferma delle sorprendenti analogie tra teoria medievale e moderne neuroscienze, afferma: “Senza la musica nessuna disciplina può considerarsi perfetta, non vi è infatti nulla che sia senza di essa.” (Etymologiae III, 16) Passato e presente, teoria medioevale e moderne neuroscienze, si congiungono idealmente nel considerare il valore della conoscenza musicale.  Possono essere sufficienti tali motivazioni per includere la musica nei processi formativi, sia negli ambiti propri della leadership e del management, che in quelli dell’empowerment personale e professionale?

Indubbiamente la “mente” musicale si distingue per modalità operative uniche e insostituibili. In primo luogo essa non si limita a ricorrere ai processi sequenziali della logica, ma si fida anche di quelli non-lineari della parte emozionale. Ciò avviene non soltanto nei processi creativi o di ideazione, ma anche nell’assunzione delle decisioni o nel problem solving. In secondo luogo, durante la performance la mente musicale attiva i processi automatici e paralleli, che afferiscono al sistema nervoso autonomo e sono retaggio del sistema limbico del cervello. In terzo luogo, per dar vita alle proprie performances,  il musicista deve saper mantenere bilanciati e sincronizzati entrambi gli emisferi cerebrali. Le neuroscienze confermano l’evidenza di questa necessità. Il neurologo Gottfried Schlaug, docente presso l’Università di Harvard, ha dimostrato che lo studio e la pratica della musica aumenta la massa del corpo calloso, la parte del cervello, situata nel centro della massa cerebrale, che ne unisce i due emisferi. “Disporre di un corpo calloso più grande è come viaggiare su un’autostrada a tre corsie invece che su una strada normale: possono così passare più informazioni ed è possibile concepire le idee più rapidamente.”3

Viste le prerogative della mente musicale, quali possono essere le modalità per utilizzarla nei contesti della formazione? Il modo più semplice – e il più naturale – è farla ascoltare. Se la conoscenza è il cibo per il pensiero, la musica è il sistema digestivo che assicura che venga assimilato in modo appropriato. Una ricerca dell’Università di Taiwan evidenzia che ascoltare un brano musicale prima di svolgere un’azione di tipo cognitivo ne facilita la performance. E’ sufficiente un brano musicale di due/tre minuti: si può partire scegliendo una musica che sia piacevole per l’ascoltatore, che rientri nei suoi gusti. Ma si può fare di più. L’intelligenza musicale – per le prerogative che la distinguono – può essere assunta come modello di eccellenza nei processi formativi. Osservandola e metabolizzandone gli aspetti costitutivi, sarà possibile ricavarne modelli di pensiero, strategie di azione, efficaci anche negli ambiti della leadership e del management delle organizzazioni o nei percorsi di sviluppo personale. E’ ancora Platone a ricordarci, che “la musica non deve mirare al divertimento, ma a formare armoniosamente le personalità.” Un’efficace azione formativa può partire dall’osservazione dei “comportamenti” creativi di grandi geni della musica e dalla loro applicazione nei contesti delle organizzazioni. Ogni genio musicale adotta un particolare metodo di pensiero e azione, che lo distingue dagli altri. Così Bach compone in modo diverso da Mozart, così come un jazzista suona in modo diverso da un musicista classico, o un direttore d’orchestra agisce in modo differente rispetto a un virtuoso solista.

Osservare all’opera le formae mentis di queste intelligenze, appartengano esse a compositori o a performers, può consentirci di ricavarne strategie applicabili ai contesti formativi, che a loro volta possono trovare applicazione fertile nei campi dell’empowerment personale e professionale. Bach compone le sue opere su un unico tema, ricordandoci l’importanza di disporre di obiettivi focalizzati, su cui allineare le risorse della mente, mentre Mozart ama la varietà tematica, e ci ricorda l’importanza di disporre di opzioni alternative, in modo da non trovarci mai senza vie d’uscita. Un compositore è abituato a pianificare e programmare le sue opere, e diviene pertanto un modello di eccellenza per il project management, mentre un jazzista è virtuoso nella capacità di improvvisare, e in questo senso diviene modello per la gestione dell’incertezza e del cambiamento. Un professore d’orchestra sviluppa le capacità di lavorare in team, mentre un solista deve saper trascinare e motivare i musicisti che lo sostengono. Le possibili analogie e applicazioni sono davvero molte.  In questa prospettiva, in un tempo economicamente e socialmente difficile come il nostro, nel quale molti dei modelli dominanti sembrano essere in difficoltà nel fornire risposte adeguate, il modello dell’intelligenza musicale può costituire una risorsa da studiare e considerare con attenzione. “La bellezza salverà il mondo”, ci ricorda la celebre frase di Dostojevski. Come musicisti ne siamo assolutamente convinti. E siamo felici di osservare come sia la comunità scientifica che il mondo dell’economia ne stiano divenendo sempre più consapevoli. Così si esprime uno scienziato autorevole come Vittorio Gallese, componente dello staff degli scopritori dei neuroni specchio: “Da un certo punto di vista, l’arte è superiore alla scienza. Con strumenti meno onerosi da un punto di vista economico e con una capacità di sintesi probabilmente inarrivabile da parte della scienza, le intuizioni artistiche ci fanno comprendere molto della natura umana, spesso molto di più rispetto all’orientamento oggettivante tipico dell’approccio scientifico. Essere umani significa divenire capaci di interrogarsi su chi siamo. Da sempre la creatività artistica ha espresso nella forma più elevata questa capacità. Il convincimento che la prospettiva neuroscientifica consenta un’ulteriore valorizzazione della dimensione distintiva e straordinaria dell’arte e dell’esperienza estetica mi convince che ci stiamo muovendo in una direzione potenzialmente gravida di risultati interessanti per chiunque sia interessato a meglio comprendere chi siamo.4” Arte e scienza ancora una volta si prendono la mano, indicando una precisa direzione da seguire. A noi che ci occupiamo di formazione, certamente interessati a meglio comprendere chi siamo, non resta che percorrerla.

 

Riferimenti

1 Levitin D. Fatti di musica. Codice Edizioni, Torino 2008
2 Peretz I. & R. J. Zatorre The Cognitive Neuroscience of Music. Oxford University Press, 2003.
3 Schlaug G. Increased corpus callosum size in musicians, Neuropsychologia, Vol. 33, No. 8, pp. 1047-1055, 1995
4 Morelli U. Mente e bellezza. Arte, creatività e innovazione, Post-fazione di Vittorio Gallese, Umberto Allemandi Editore, Torino 2010.

 

 

Profilo dell’autore

Giorgio Fabbri (www.soundgenius.org) è musicista, compositore, direttore d’orchestra, formatore e coach. Ideatore del modello Music Mind System®, è coach con diploma certificato AICP e ICF e trainer certificato SIAF. Docente presso l’Università di Ferrara, ha tenuto corsi per Luiss University, Politecnico di Milano, Università di Firenze, Padova, Siena, Napoli, e per numerose aziende e multinazionali. Direttore per 13 anni dei Conservatori di Ferrara e Adria, ha pubblicato “Come un’orchestra”, Franco Angeli Milano 2010, “Benessere sul lavoro e qualità delle relazioni”, Aracne 2011, “Osare il futuro”, Aracne 2012.

 

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