Blog EllePì – La città europea tra realtà e utopia
di Romina Perni
La riflessione sulla città è diventata oggi un’esigenza e un’emergenza. Ne parlano architetti e urbanisti, impegnati a pensare e ad elaborare un realistico progetto di organizzazione “alternativa” di quello che è il centro catalizzatore di tutte le attività della nostra esistenza e che sembra, ormai da diverso tempo, in difficoltà. Ne descrivono le periferie, gli spazi di confine, la vita che scorre come fosse un organismo vivente, sociologi e osservatori di vario tipo, alla ricerca di esempi da proporre e da imitare. Le mega-metropoli sono oggi alla ricerca di una nuova forma per arginare l’espansione e la conseguente parcellizzazione degli spazi e delle esistenze.
Le città di medie-piccole dimensioni cercano, invece, di difendere le loro ricchezze più autentiche, nella direzione opposta all’ideale del consumo sfrenato che le logora e le fa chiudere nella mera nostalgia di un passato percepito come d’oro e mai più accessibile. Il modesto contributo che, in ambito filosofico, può essere portato è di introdurre nella riflessione e nella progettazione della e sulla città un altro concetto, che resiste da quasi cinquecento anni (se si conta l’anno in cui il termine fu utilizzato per la prima volta), che è ricomparso e scomparso continuamente e, poi, è tornato sotto altre vesti e con altre possibili attribuzioni di significato: l’utopia.
Nel suo significato originario utopia è il luogo immaginato, non esistente, il non-luogo, ma al tempo stesso, se si considera l’etimologia eutopia piuttosto che outopia, è il luogo felice, dove si materializza il benessere e la felicità. Al di là delle innumerevoli definizioni che di questo concetto sono state date rimane questa duplicità di fondo. I due significati possono e devono convivere perché il luogo utopico è quello immaginato migliore, ma che non esiste o non esiste ancora. Se si punta l’attenzione sull’accezione positiva del termine, l’utopia si carica della capacità di anticipare il futuro, di progettare un’organizzazione spazio-temporale che venga incontro al domani tenendo conto dell’analisi della situazione presente (Koselleck 2009). Le utopie che sono state tratteggiate nel corso della storia infatti, quasi sempre immagini, sono disegni, progetti di città ideali, organizzate in maniera diversa a seconda del senso e dell’essenza del progetto utopico che le sostiene. More e Campanella ci consegnano, ad esempio, due città dove niente è lasciato al caso perché l’organizzazione e la struttura sono normativamente connotate. Scoprendo dove sono situati e come sono costruiti case, luoghi pubblici, spazi dedicati alle attività economiche, possiamo conoscere quale proposta – filosofica e politica – i due pensatori intendono promuovere. I cittadini di Amauroto, capitale dell’isola di Utopia, vivono felici. Lavorano, dedicandosi all’artigianato e all’agricoltura, ma nessuno possiede nulla. Esistono magazzini comuni ai quali tutti possono accedere e prendere ciò di cui hanno bisogno. La struttura della città è razionale e il criterio normativo è l’eguaglianza: non esistono conflitti sociali, c’è solidarietà tra gli uomini e comunanza di idee e di intenti. La Città del Sole ha, invece, nel simbolismo la sua cifra: sette, come i pianeti, sono le cerchie che circondano la città, che è una fortezza con al centro un tempio, vertice del potere politico-religioso. Le città mobili della luna, descritte da Cyrano de Bergerac, pur nella loro immaginifica consistenza, sono le città che si spostano per adeguarsi al ciclo naturale. Che «cambiano aria», errando da una parte all’altra del proprio mondo alla ricerca del clima migliore. Con la loro struttura diventano la cifra di un’epoca che ha perso ogni centro costituitosi fino a quel momento – l’uomo al centro della terra, la terra al centro del cosmo, il cosmo finalisticamente concepito – e che, con il loro movimento, rappresentano l’apertura degli orizzonti che allora si stava sperimentando. Le città possono venire a contatto con realtà e situazioni diverse, nulla è dato per acquisito e scontato. Tutto questo si colloca nei limiti di un’utopia che matura nella fluidità del libertinismo, dove cade l’esigenza di un progetto politico a lungo termine per lasciare il posto all’esaltazione della libertà individuale, da esercitare in una comunità ristretta.
Abbiamo citato solo alcuni esempi, ma questi si potrebbero moltiplicare se elencassimo, ad esempio, i sogni urbanistici del Settecento e dell’Ottocento. O potrebbero capovolgersi di significato se ci affidassimo invece alle descrizioni distopiche delle città del futuro (Orwell, Huxley, Alvaro). In senso generale la città rappresenta il punto di incontro tra idealità e realtà (Adriani 1961), dove si interrompe l’utopia come non-luogo e si apre la possibilità di realizzazione dell’utopia quale luogo felice. Questo, dal versante urbanistico, è avvalorato dall’idea che progettare una città non è mai esclusivamente un problema tecnico, ma «sottintende un più generale rinnovamento globale della società», quindi si proietta necessariamente nel futuro (Del Bono 1982, p. 15 e p. 80).
La nostra epoca viene dopo quella della fine e, poi, della ripresa dell’utopia. Le città utopiche sono state il segno di una civiltà, l’immagine e la cifra della civiltà com’era e come sarebbe dovuta essere. Ora sembra che l’unica anticipazione possibile sia quella lasciata da piccole utopie concrete da rintracciare nelle dinamiche reali delle nostre diverse città e che quindi non possono più essere veramente considerate utopie nel senso classico del termine. Piuttosto “spazi altri”, le foucaultiane eterotopie, che contestano lo spazio esistente proponendo nei fatti esperienze diverse (cfr. Foucault 1966, p. 25). Ciò che, allora, si può tentare di trovare è il filo che leghi questi spazi “altri”, così da veicolare la costruzione di un’unica, ma al tempo stesso multiforme, immagine di città per il futuro. Riprendere la storia delle città ideali – “in Utopia” – può aiutare a tessere questo filo: individuare, cioè, dei criteri normativi che possano essere utili e fruibili oggi per la costruzione di un modello di città che sia conforme ai principi dell’europeismo. Tale città dovrà essere, ad esempio, strutturata in modo da venire incontro e dirigere verso il meglio la fluidità e la mobilità delle nostre esistenze. La fissità come caratteristica principale dell’insediamento urbano non consente alle città di conformarsi al ciclo della natura, quando è invece un riscoperto rapporto tra l’uomo e tutti gli altri esseri viventi a diventare auspicabile. È necessario allora ripensare una città fluida e mobile in modo da essere, al tempo stesso, protettiva, accogliente e aperta. Un’idea che in campo architettonico e urbanistico non è una novità, ma che potrebbe essere ulteriormente sviluppata attraverso uno studio che tenga insieme sensibilità, interessi e discipline diversi. Per Europa si intende non solo il contesto in cui le nostre città sono inserite, ma soprattutto una realtà comune ancora da costituire e da realizzare dal punto di vista politico, sociale e culturale: un «complesso» che realizzi unità nella differenza e accoglimento delle molteplici diversità (Morin 1988). Quest’opera che si può tentare dal versante filosofico, è modesta e necessariamente limitata, ma si basa sulla convinzione che gli ideali – i nostri ideali – non sono qualcosa d’altro rispetto alle forme che ci sforziamo di dare alla nostra esistenza quotidiana e al mondo che ci circonda: «guardando fuori dalla cime di un grattacielo di Manhattan, io posso scorgere la guglia dorata di una pallida torre che scintilla in mezzo alla soffice foschia de mattino; e per un momento tutti gli scabri e sgradevoli contorni del paesaggio scompaiono. Così accade guardando le nostre utopie» (Mumford 1922, p. 19).
Per Approfondire
Adriani M., (1961), L’utopia, Studium, Roma.
Campanella T., La Città del Sole (1602), a cura di N. Bobbio, Torino 1941.
Cyrano de Bergerac, L’Altro Mondo ovvero gli Stati e gli Imperi della Luna (1657), a cura di P. Vitiello, Liguori Editore, Napoli 1984. Cyrano parla anche di città sedentarie, che, nei casi di gelo, si posizionano sottoterra per proteggersi dal freddo. Mi permetto di considerare parzialmente mobili anche questo tipo di città perché prevedono comunque uno spostamento orizzontale.Cyrano de Bergerac, Gli Stati e Imperi del Sole, in Id., L’Altro Mondo (1662), tr. it. di C. Gaza, Il leone verde, Torino 1999 (ebook 2013).
Del Bono A. (1982), La città smarrita: utopia e realtà dell’esperienza urbana, Medicea, Firenze.
Comparato V.I. (2005), Utopia, il Mulino, Bologna.
Moro T., Utopia (1516), a cura di L. Firpo (2000), Guida, Napoli.
Foucault M. (2006), Utopie. Eterotopie (1966), Cronopio, Napoli 2006.
Koselleck R. (2009), Il vocabolario della modernità. Progresso, crisi, utopia e altre storie di concetti, il Mulino, Bologna.
Morin E. (1988), Pensare l’Europa, Feltrinelli, Milano.
Mumford L. (1997), La storia dell’utopia (1922), Donzelli Editore, Roma.
Profilo dell’autore
Romina Perni ha conseguito il titolo di Dottore di ricerca nel 2011 presso l’Università di Macerata con una tesi sul cosmopolitismo kantiano. Dal 2006 svolge le sue ricerche presso la cattedra di Filosofia politica dell’Università di Perugia ed è attualmente dottoranda in questa Università. Fa parte, inoltre, del comitato di redazione del sito della Società Italiana di Filosofia Politica (www.sifp.it) e di quello della rivista semestrale “Cosmopolis” (http://cosmopolis.globalist.it). I suoi studi riguardano la filosofia politica di Kant, il dibattito sul cosmopolitismo contemporaneo e il legame tra il pensiero utopico e il tema della città. Nel 2012 ha pubblicato il testo Diritto, storia e pace perpetua. Un’analisi del cosmopolitismo kantiano (ETS, Pisa).