Blog EllePì – Il rischio della fiducia
di Romina Perni
Sono partita per la Summer School di Offida carica di aspettative. Avevo davvero voglia di toccare con la viva mano dell’esperienza come un concetto potesse essere considerato da punti di vista molto diversi e come questi potessero essere integrati e arricchiti. Un lavoro che raramente si compie, vista la tendenza a specializzarsi e a settorializzarsi che l’alta formazione ha. Non nego di aver avuto anche alcune perplessità rispetto al tema scelto: forse troppo impalpabile per poter diventare oggetto di studi economici o sociologici, troppo generico per poter essere rilevante per la filosofia. Prima di dare risposta a questi dubbi preliminari, cosa che è stata possibile solo al termine di quest’esperienza, devo dire che la scoperta è stata invece d’altro tipo.
Per cinque giorni si è materializzata nelle nostre esistenze una pausa feconda in un luogo “altro” rispetto a quello usuale. Come nel teatro, dove le pause sono in realtà i momenti che danno il senso al tutto, alle azioni e alle parole precedenti e successive e che permettono di realizzare qualcosa di unico e inaspettato, così sono le pause delle nostre vite in cui abbiamo modo di guardare e sperimentare riflessioni e relazioni interpersonali nuove in grado di rendere la nostra vita piena. C’è un termine tedesco, di cui è difficile trovare una traduzione adeguata in italiano, che può meglio di tante altre parole rendere l’idea dell’atmosfera che si respirava in quei giorni: gemütlich era il luogo, così come l’ambiente e l’aria. Accoglienti, familiari, caldi. In questo luogo “altro” si è aperto per me il mondo concettuale e pratico legato al concetto di fiducia. Difficile prescindere, in realtà, da questo tema per una riflessione esaustiva e convincente sulla città, come è quella che sto conducendo nella mia ricerca, che riguarda il legame tra utopia, città e forme del potere a partire dall’opera di Cyrano de Bergerac. La città è composta da individui che entrano in contatto l’uno con l’altro e che devono instaurare rapporti di fiducia per poter convivere (almeno considerando il livello di base di interazione che tra di essi può esistere). La città è intesa qui come centro politico amministrativo, economico, ma la sua struttura è anche e soprattutto il segno della civiltà a cui apparteniamo. Esiste di certo un legame tra forma, struttura urbana e reti di fiducia che al suo interno possono instaurarsi.
La mia ricerca parte dalla convinzione che il connubio tra la struttura della città e le forme che l’utopia ha assunto nel corso dei secoli può essere fecondo anche per la progettazione delle città di oggi. O – più modestamente – può rappresentare un frammento di quell’enorme quadro che è l’attuale riflessione sulla città, struttura in continua metamorfosi e costretta ad essere continuamente ripensata, riprogettata, ridimensionata. L’ambito più specifico in cui questi temi possono toccare quello della fiducia va cercato al fondo delle riflessioni condotte nei giorni di Offida; e questo fondo interessa necessariamente l’ambito antropologico. Nella storia del pensiero politico e filosofico ogni utopia è immaginata da uomini che pensano se stessi e la propria umanità in un modo particolare e costruiscono in maniera conseguente i loro progetti di città ideali. Per questo l’utopia di Thomas More è, ad esempio, molto diversa da quella di Cyrano de Bergerac: per il primo, l’uomo è ancora il centro dell’universo, può farsi portatore di un progetto anche politico di riforma della società. L’uomo di Cyrano ha potenzialità ridimensionate, la sua posizione nel mondo non è più centrale: la terra è un pianeta come tanti altri, l’universo si è aperto. In ambito politico cade ogni pretesa di normatività e l’unica proposta può essere una società liberamente fondata sull’amicizia e che può – forse – anche fare a meno di un’autorità di tipo politico. Ulteriori distinzioni e specificazioni potrebbero essere portate esaminando anche altri modelli successivi: l’antiutopia di Swift, le utopie del ‘700 francese, i progetti del socialismo utopistico, senza considerare l’attuale stravolgimento dell’utopia in forme distorte e perverse (lo chiamerei l’eccesso di distopia).
Ciò che del discorso sulla fiducia è stato perciò rilevante ai fini della mia ricerca è la possibilità di pensare la fiducia stessa come un punto di partenza antropologico. Questa riflessione ci consegna un uomo originariamente e essenzialmente aperto all’esterno, all’altro, alla relazione con ciò che è fuori di lui. Ciò non significa pensare una condizione di idilliaca e rassicurante fusione tra l’uomo e l’altro (in particolar modo le altre donne e gli altri uomini che esso incontra sulla via), ma anzi ammettere il rischio come propria cifra costitutiva. La pratica della fiducia è una sfida aperta, che espone costantemente al rischio del fallimento chi su di essa decida di scommettere, nella consapevolezza – seguendo Luhmann – che non possiamo mai realmente pensarci fuori da un orizzonte di fiducia, essendo questa il motivo per cui ogni mattina ci alziamo dal letto e scegliamo di uscire di casa. Da questa visione antropologica, intrisa nelle sue radici di fiducia, consegue un’immagine di città che rende più spontaneo e più semplice l’incontro con l’altro, dove non ci sono spazi chiusi, inaccessibili, ma che fa della fruibilità per tutti la sua cifra. E oggi l’utopia più funzionale a questo modo di intendere la città è probabilmente quella che si realizza unendo tante piccole “eutopie” realizzate in questo senso. Quartieri degradati tornati a vivere o piccole realtà urbane spopolate, ma ripopolate da emigranti che convivono con i pochi autoctoni rimasti: questi sono solo alcune delle realtà che ad Offida ci sono state mostrate. Della forza che le utopie avevano in altri tempi, prima della loro “fine”, è rimasta l’importanza degli esempi e la capacità di suscitare imitazione . Un’utopia ridimensionata, perciò, come modesta e ridimensionata è l’immagine di un uomo che si mette costantemente in gioco e che rischia nell’investimento sull’altro. E che, soprattutto, è consapevole di non essere sufficiente a se stesso.
L’esperienza della Summer School di Offida, nel suo essere luogo di incontro di linguaggi, esperienze, competenze e professionalità diverse, è stata probabilmente un laboratorio anche in questo senso. Piccola utopia realizzata che ha sicuramente bisogno del legame con altre situazioni simili per avere ancora più forza.
Per approfondire
Cyrano de Bergerac, L’Altro Mondo ovvero gli Stati e gli Imperi della Luna (1657), a cura di P. Vitiello, Liguori Editore, Napoli 1984.
Cyrano de Bergerac, Gli Stati e Imperi del Sole, in Id., L’Altro Mondo (1662), tr. it. di C. Gaza, Il leone verde, Torino 1999 (ebook 2013).
Luhmann, N., La fiducia, il Mulino, Bologna 2002
More T., Utopia (1516), a cura di L. Firpo (2000), Guida, Napoli.
Mumford L. (1997), La storia dell’utopia (1922), Donzelli Editore, Roma.
Profilo dell’autore
Romina Perni ha conseguito il titolo di Dottore di ricerca nel 2011 presso l’Università di Macerata con una tesi sul cosmopolitismo kantiano. Dal 2006 svolge le sue ricerche presso la cattedra di Filosofia politica dell’Università di Perugia ed è attualmente dottoranda di ricerca in questa Università. Fa parte, inoltre, del comitato di redazione del sito della Società Italiana di Filosofia Politica (www.sifp.it) e di quello della rivista semestrale “Cosmopolis” (http://cosmopolis.globalist.it). I suoi studi riguardano la filosofia politica di Kant, il dibattito sul cosmopolitismo contemporaneo e il legame tra il pensiero utopico e il tema della città. Nel 2012 ha pubblicato il testo Diritto, storia e pace perpetua. Un’analisi del cosmopolitismo kantiano (ETS, Pisa).