Blog EllePì – Differenziare, Valorizzare

di Gabriele Gabrielli

gabrielliSi possono valorizzare molti beni. Anche la persona

“Con ogni uomo viene al mondo qualcosa di nuovo che non è mai esistito, qualcosa di primo e unico”. Lo scrive Martin Buber in un libretto tratto da una conferenza del 1947[1]; un pensiero che, insieme a un racconto chassidico di cui l’autore è uno dei narratori più autorevoli, ci aiuterà in questa riflessione costruita per discutere il significato di due verbi: differenziare e valorizzare. L’esito del secondo è, come sappiamo, la valorizzazione. Una parola molto impegnativa che richiama precise responsabilità di chi, e questa sarà la nostra prevalente chiave di lettura, guida e dirige il lavoro di altri nelle organizzazioni, nelle imprese e in generale nei luoghi di lavoro. C’è però una premessa logica e antecedente a questa parola. Si tratta di un altro termine potente e che può sembrare anche ambiguo e a doppio taglio: differenziazione. Ma andiamo con ordine. Qual è il significato che attribuiamo all’azione umana del valorizzare? Pensiamo a quante volte viene utilizzata o a quante volte ci capita di ascoltarla in occasioni diverse. Quante slide, contenute in altrettante presentazioni, ci passano sotto gli occhi proponendoci un punto elenco dove è evidenziatala la finalità di “valorizzare”? Usiamo questo termine, infatti, per riferirci a un perimetro molto vasto di oggetti. Per esempio, quando vogliamo sottolineare l’obiettivo di dare valore agli investimenti realizzati (da una Amministrazione, da una Associazione ecc.) o al potenziale dei clienti di un’impresa; quando si vuole sfruttare le potenzialità del suo brand, la sua notorietà e posizione sul mercato, o anche la sua forza commerciale; lo usiamo quando intendiamo estrarre valore da un patrimonio immobiliare; quando non si è soddisfatti di come venga usata la tecnologia e le sue molte potenzialità. Usiamo valorizzare, però, anche per riferirci alla storia e alla cultura (quella nostra, di una città, di un Paese), al patrimonio delle relazioni e dei legami. Infatti, possiamo valorizzare risorse hard e tangibili, ma anche risorse soft e intangibili. Possiamo valorizzare anche le persone, quanti ci sono accanto come familiari e amici, ma anche colleghi e collaboratori. Proseguendo in questo esercizio di consapevolezza, domandiamoci ora più concretamente cosa significa valorizzare le persone quando si guida un’impresa o un’altra organizzazione dove prende forma il lavoro. Questo verbo transitivo – come abbiamo già visto – evoca un’azione che accresce il valore di una cosa o di un bene, perché ne aumenta il pregio o la sua posizione; perché è capace di estrarre tutto il valore che lo stesso bene ha “intrinsecamente”. Potremmo dire che l’azione del valorizzare trova espressione in un progetto che costruisce le condizioni utili per realizzare tutto il potenziale di quel bene o di una persona, per raccoglierne i frutti e poterne godere e farne godere i risultati. Per questo quando valorizziamo qualche cosa o qualcuno siamo concentrati a esaltarne tutte le qualità (pensate a un sommelier che racconta, con un calice in mano, i colori, la storia, le componenti culturali, il sapore, le tradizioni da cui proviene quel vino), perché vogliamo attribuirgli un valore esclusivo e irripetibile.

Non c’è valorizzazione senza riconoscimento dell’Altro

L’idea che associamo più facilmente al valorizzare, in questo senso, è quella di un valore unico e distintivo che rappresenta proprio il risultato dell’azione del differenziare. E qui c’è un aspetto decisivo, perché non sfuggirà come per valorizzare dunque occorra quella che Ivo Lizzola[2] chiama la “fatica del riconoscimento” dell’Altro, un atteggiamento complessivo che postula il differenziare il Tu che si staglia di fronte all’Io. Si tratta di un aspetto decisivo anche per comprendere la responsabilità che hanno leader, manager e capi nel processo di valorizzazione. Per valorizzare infatti bisogna “fare spazio”, perché ci è richiesta una sorta di ripiegamento (Romano Guardini scriveva che ogni vera conoscenza nasce quando l’uomo “si ritrae”[3]) per lasciare che le qualità distintive della persona che lavora con noi trovino modo di illuminare la nostra esperienza. La pratica ci dice però che questa via non è sempre molto frequentata, perché a essa si preferiscono altre strade meno faticose, senza curve e piatte, con orizzonti scontati che non lasciano spazio allo stupore dell’incontro. D’altro canto, “la realtà è superiore all’idea”[4] ed è da qui allora che  bisogna partire ricercando “un dialogo costante” tra i poli di questa tensione. Quali motivazioni suggeriscono a chi guida e dirige persone nelle organizzazioni (imprenditori e leader, manager e capi) un posizionamento così poco produttivo che si accontenta della valutazione dei collaboratori (ha fatto quanto previsto?) e rinuncia invece alla loro differenziazione e valorizzazione?[5] Possono essere molte, in verità.

Perché si ha difficoltà ad apprezzare l’unicità?

Per esempio il disinteresse verso l’altro, perché si è concentrati sul presente a sviluppare atteggiamenti poco generosi, un po’ come quelli dell’amministratore pigro e svogliato (servo) della parabola dei talenti, raccontata dall’evangelista Matteo[6], che non valorizza il patrimonio affidatogli nascondendolo sotto terra. Un’altra ragione può risiedere nella poca convinzione riguardo ai benefici che comporterebbe invece il valorizzare, come quelli legati alla crescita di motivazione e del livello di engagement dei collaboratori, di un clima più partecipativo e di una maggiore disponibilità di comportamenti di cittadinanza organizzativa (senso di appartenenza, impegno ecc.). La realtà insomma ci dice che sono ancora numerosi i luoghi organizzativi in cui alle leve della differenziazione e valorizzazione delle persone si preferiscono logiche di gestione indifferenziata e omologanti. Per usare una metafora a tutti famigliare, in queste situazioni ci si ostina a non voler comprendere quanto siano eticamente fondati, utili e produttivi quegli stili di vita e comportamenti dei cittadini che adottano i principi e le metodologie della “raccolta differenziata” dei rifiuti. Questi cittadini sono pienamente consapevoli che la scelta da loro adottata è più faticosa, perché richiede maggiore concentrazione, presuppone la conoscenza dei materiali e di separare (con-scienza) le loro componenti. Sentono in cuor loro però che stanno facendo un’azione responsabile e rispettosa di un bene comune. Sono anche convinti che da questa differenziazione nascerà ricchezza nuova, un valore che se si fosse percorsa la via facile, piatta e senza curve (quella che percorriamo quando si fa di ogni erba un fascio senza riconoscere l’”ineguaglianza” delle cose), non sarebbe stato possibile scoprire ed estrarre.

I leader che non valorizzano sono i nuovi “servi infedeli”

Fuor di metafora, allora, non si può pensare di gestire le risorse umane solo con le lenti dell’efficienza, perché producono un grave difetto di miopia.  Rischiano di renderci “servi infedeli” e sospingerci a nascondere sotto terra (o di offuscare) quella componente essenziale della funzione sociale di chi guida altri che è proprio valorizzare i talenti delle persone. Non c’è allora leadership sostenibile – orientata al futuro e non oppressa dalla dittatura della prestazione efficiente del momento – che non debba fare i conti con la differenziazione e valorizzazione. Ricordate il pensiero sull’unicità dell’uomo da cui siamo partiti? Ascoltiamo ora il racconto di Rabbi Sussja (proposto nello stesso scritto) che s’interroga così: “Nel mondo futuro non mi si chiederà: ‘Perché non sei stato Mosè?’; mi si chiederà invece: ‘Perché non sei stato Sussja?’. Questo è il commento di Martin Buber che ci serve per concludere questa riflessione: “Siamo qui in presenza di un insegnamento che si basa sul fatto che gli uomini sono ineguali per natura e che pertanto non bisogna cercare di renderli uguali. Tutti gli uomini hanno accesso a Dio, ma ciascuno ha un accesso diverso. E’ infatti la diversità degli uomini, la differenziazione delle loro qualità e delle loro tendenze che costituisce la grande risorsa del genere umano”.



[1] Martin Buber, Il cammino dell’uomo, Edizioni Qiqajon, Comunità di Bose, 1990

[2] Ivo Lizzola, Incerti legami, Editrice La Scuola, Brescia, 2012

[3] Romano Guardini, La fine dell’epoca moderna. Il potere, Morcelliana, Brescia, 1989

[4] Papa Francesco, Evangelii Gaudium, 231-233

[5] Gabriele Gabrielli, Valutare, differenziare, valorizzare, in G. Gabrielli, People management. Teorie e pratiche per una gestione sostenibile delle persone, Franco Angeli, Milano, 2010

[6] Mt, 25, 14-30

 

Profilo dell’autore

Gabriele Gabrielli è Presidente della Fondazione Lavoroperlapersona e docente di Organizzazione e gestione delle risorse umane all’Università LUISS Guido Carli e all’Università Politecnica delle Marche (sede di San Benedetto del Tronto) E’ Direttore del programma Executive MBA della Luiss Business School. Giornalista pubblicista, formatore e coach, i suoi ambiti di attività riguardano la consulenza, ricerca e educazione nel campo dello sviluppo organizzativo, leadership e risorse umane. Tra i suoi volumi più recenti ci sono (con Profili S.),Organizzazione e gestione delle risorse umane, Isedi, Torino, 2012;  Post–it per ripensare il lavoro, Franco Angeli, Milano 2012; People management, Franco Angeli, Milano 2010.

 


Articolo pubblicato in Voce della Vallesina , 1 giugno 2014 – Un lessico per la Città Comune

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